Santa Venera Vergine e Martire

Descrizione

Note agiografiche e messaggio teologico

Le principali fonti letterarie riguardanti santa Venera sono Sinassari, Martirologi, Inni, Menei, altri testi liturgici in lingua greca e latina e le Passioni delle quali quindici bizantine e tre latine. La più antica è quella di Giovanni di Eubea collocabile tra il VII e VIII secolo, le altre sono databili invece tra il X e XIV secolo.
Dalle numerose Passio, se pur intrise e contaminate da elementi leggendari, si può comunque tracciare la biografia della Martire. Da questi testi sappiamo che Venera nacque da genitori cristiani quando erano già in età avanzata. Agathone e Politia (o Ippolita) dopo trentacinque anni di intense preghiere ricevettero da Dio il tanto atteso dono di una figlia.
Questa nascita si colloca dunque nella tradizione biblica delle maternità tardive. Anche Politia come Sarah, Anna ed Elisabetta viene raggiunta dalla benedizione di Dio.
Alla bambina, che nacque il giorno del venerdì santo, fu dato il nome di Parasceve. Nei documenti più antichi che sono in lingua greca, è riportato questo nome che, nell’uso ebraico, è il giorno di preparazione che precede il sabato, per i cristiani invece è il giorno in cui morì Gesù. La latinizzazione del nome Parasceve è Venera, non in onore della dea Venere, ma in riferimento al dies veneris cioè al venerdì, giorno in cui la bambina nacque.
Nei primi secoli dell’era cristiana la Martire fu chiamata con il gerundivo della lingua latina Veneranda che significa degna di venerazione.
All’età di vent’anni la Santa, rimasta orfana di entrambi i genitori, vendette tutti i suoi beni e distribuì il ricavato ai poveri.
Successivamente la giovane si ritirò in un monastero dal quale uscì per dedicarsi alla predicazione del Vangelo. Da un punto di vista storico ci troviamo di fronte a due evidenti incongruenze. È improbabile che Venera sia stata monaca in quanto prima del V secolo non si hanno notizie di monasteri femminili. Molto probabilmente Venera visse la sua verginità consacrata, molto onorata sin dai primi secoli del cristianesimo, nel privato del suo vissuto quotidiano. È altrettanto improbabile che Venera si sia dedicata alla predicazione delle masse, attività contraria alle consuetudini del tempo per una donna. Il testo della lettera di San Paolo ai Corinzi sulle assemblee liturgiche dice «le donne in assemblea tacciano» (1Cor 14,34). Appare più probabile che Venera, giovane cristiana, in un’epoca non certo facile per le donne, superando i pregiudizi e la minacce dei potenti, spinta dall’amore per Gesù si sia dedicata ad una attività di evangelizzazione, dichiarandosi coraggiosamente cristiana e presentando con fermezza il messaggio evangelico alle persone che quotidianamente incontrava.
Durante la sua attività di evangelizzazione fu più volte chiamata a dare ragione della sua fede. Una prima volta comparve davanti al prefetto Antonio dal quale fu invitata ad abbandonare la sua fede e a sacrificare agli dei. Secondo le Passio, Antonio si innamorò di lei e la chiese in sposa, ma al suo rifiuto fu sottoposta a terribili supplizi. Prima il tiranno le fece mettere sul capo un elmo rovente, poi la fece inchiodare al terreno e le fece porre un masso enorme sul petto. Vedendo che la giovane non subiva nessun danno, la fece immergere in una caldaia di acqua e poi di pece bollente. Rimasta incolume, Antonio, credendo che il liquido fosse ancora freddo, si avvicinò e colpito agli occhi diventò cieco. Pentito chiese aiuto alla Santa che gli restituì la vista. Da questo episodio deriva il simbolo iconografico del piattello con gli occhi con il quale a volte viene ritratta santa Venera.
La Martire comparve anche davanti al prefetto Temio il quale la condannò ad altri terribili supplizi. Di fronte all’incolumità di Venera vi furono diverse conversioni tra cui quella dello stesso tiranno.
Venera arrivò in una terza città dove era prefetto Asclepio. Anche qui fu sottoposta a nuove torture tra cui quella della caldaia bollente, sopravvivendo ancora una volta. Dopo aver subito vari supplizi Venera fu condannata al martirio definitivo della decapitazione.
I testi delle varie Passio concordano riguardo l’origine cristiana e aristocratica della Santa, il periodo storico delle persecuzioni e i vari supplizi subiti dalla fanciulla. Grandi incertezze permangono invece riguardo il luogo della nascita e della morte. Un villaggio nelle vicinanze di Roma, la Sicilia, la Gallia,la Galazia e la Grecia sono indicati come luoghi della nascita, la Gallia Cisalpina, Atene e altre città, tra cui Ascoli Piceno come luoghi del martirio. Lo studio comparato delle varie fonti portano gli studiosi comunque a collocare cronologicamente santa Venera in epoca romana, tra il primo e il secondo secolo dopo Cristo e a datare la morte sotto l’impero di Antonino Pio.
Secondo il testo Ammirande Notizie di Anselmo Grasso, la borghesia acese elesse la Martire cittadina onoraria. Venera nacque intorno all’anno 100, nelle vicinanze delle terme Xiphonie ad Acis, luogo comunemente chiamato Santa Venera al Pozzo e che qui, abbia iniziato il suo apostolato a favore dei malati, utilizzando le acque curative delle terme romane.
L’attività di Venera si colloca nella tradizione biblica del servizio. Come Gesù, primo diacono della storia, si fa servo, come Maria si reca da Elisabetta per assisterla e come i “sette” vengono scelti per il servizio alle mense, anche Venera è mossa da sollecitudine verso i fratelli più deboli e sofferenti.
Dopo il periodo dell’assistenza ai poveri e agli malati e un periodo di ascesi fatto di preghiera e digiuno vissuto in solitudine, ha inizio per la Santa un’intensa attività di predicazione.
Dopo aver toccato diverse città della Sicilia, Venera si sposta in Calabria. Tracce della sua presenza si trovano a Gerace, dove secondo la tradizione è custodito il suo cranio e a Locri, successivamente si spinge fino in Puglia e in Campania. Durante questi spostamenti, viene più volte chiamata a dare ragione della sua fede e dopo aver subito diverse torture, viene condannata alla pena capitale. È il 26 luglio del 143, sotto l’impero di Antonino Pio, quando Venera viene decapitata ad Ascoli Piceno e solo nel IV secolo il suo corpo viene trasferito nelle catacombe di santa Domitilla a Roma. Secondo un’antica leggenda locale, priva di ogni fondamento storico, Venera subì il martirio in Acis, proprio nelle vicinanze del luogo in cui nacque e il suo capo, gettato dai soldati romani in un pozzo, rese miracolose le acque che venivano utilizzate dagli abitanti per curarsi e per tingere i tessuti.
La storia di Venera si colloca in maniera esemplare all’interno del mistero di morte, passione e resurrezione di Gesù Cristo non perché la sua nascita avvenne il venerdì santo ma perché questo giorno è incarnato da una donna che, con il dono della sua vita, attraverso il martirio, testimonia la sua fede nel Dio Salvatore. 
La spiritualità di Venera è mirabilmente compendiata nel simbolo iconografico della palma cinta da tre corone simboleggianti la verginità, la predicazione e il martirio.
Venera è vergine. Consacrata a Cristo nello spirito e nel corpo, vive la sua totale appartenenza a Lui. La verginità rende libero il cuore di Venera e lo accende sempre più di carità verso Dio e verso gli uomini (cfr. 1Cor 7,32-35).
Venera è annunciatrice del Vangelo. Nella durezza dei tempi, vincendo i pregiudizi che la società nutriva nei confronti delle donne, Venera annuncia il mistero della Croce. Non a caso il biblista che ha curato l’edizione del Lezionario Regionale Siculo, ha scelto per la messa in suo onore, come seconda lettura, la prima lettera ai Corinzi dove al cap. 1,23 l’Apostolo delle genti afferma: «noi predichiamo Cristo Crocifisso».
Venera è martire. Il testimone fedele della verità è Cristo (Ap 1,13). Anche Venera imitando Cristo, con il suo martirio, dà testimonianza non solo della sua fede ma anche alla Verità. Tertulliano nella sua Apologia dice: «il sangue dei martiri fu seme di nuovi cristiani». Anche Venera con il dono della sua vita diventa seme di nuovi cristiani testimoni fedeli di Cristo.

 

I Luoghi del culto in sicilia

In Sicilia, esistono diversi luoghi che conservano tracce della presenza della Santa.
A Siracusa esiste una grotta dove secondo la tradizione santa Venera visse in solitudine. A Gala nei pressi di Castroreale oltre ad una chiesa in suo onore è presente l’antica Grotta di santa Venera, al centro della quale è posta una sua statua. Questi “reperti” archeologici confermerebbero il periodo di ascesi vissuto in solitudine, a cui si dedicò Venera prima di iniziare la sua attività di evangelizzazione.
A Trappitello, nel territorio di Taormina, sorge un’antica chiesetta dedicata a santa Venera nei pressi della quale pare sgorgasse una sorgente legata ad inspiegabili guarigioni e dove sono stati rinvenuti resti umani riconducibili ad una strage di cristiani avvenuta nel II secolo d.C.
Numerose prove portano invece ad escludere che Venera sia stata martirizzata ad Aci e in particolare presso le Terme Xifonite come invece vorrebbe un’antica leggenda.
Molti documenti scritti depongono a favore dell’origine siciliana della Santa. La memoria di Venera, infatti, è presente nel Martirologio usuardino di San Nicolò la Rena, è celebrata nei Lezionari e Breviari di Palermo e di Catania, nel Messale in uso della Chiesa di Messina, edito nel 1538 e nel Breviario gallo-siculo, dove al 26 luglio è segnato prima l’ufficio di santa Venera e poi quello di sant’Anna, mentre nell’antico Breviario palermitano del 1445 al 26 luglio è riportato solo l’ufficio di santa Venera con rito domenicale. Ma Venera è presente non solo negli antichi calendari siciliani ma anche nel calendario greco pubblicato nel 1592, nel calendario parigino ed è segnata il 26 luglio nel calendario universale della Chiesa di Giuseppe Antonio Assemani.
Fonti storiche attestano l’esistenza, nel XIII secolo, nella città di Catania, di una chiesa edificata in onore di santa Venera. La chiesa tra i suoi possedimenti vantava nel territorio di Aci, in contrada Reitana, (6) la proprietà di un piccolo hospicium cioè un luogo di ospitalità per poveri, pellegrini e malati che fu costruito dove sgorgava una fonte di acque sulfuree con proprietà curative nel quale, in epoca romana, era stato costruito un impianto termale. Nelle vicinanze di questo luogo di accoglienza alla fine del XIII secolo fu costruita una cappelletta che secondo un testo dei primi del Seicento custodiva un Dio Padre dipinto alla Greca [...] e colla beata Venera nel mezzo dipinta, come l’altre, alla greca in abito Monastico, alla quale portavasi tanta divozione, che molti infermi col bere nell’acqua un poco di polvere tolta dal muro ov’era la sua immagine, guarivano miracolosamente di gravi infermità. La chiesa cominciò ad essere frequentata da un grandissimo numero di fedeli il 26 luglio, giorno dei festeggiamenti della Santa. La grande affluenza di gente favorì la nascita di una fiera franca, cioè esente da imposte, che fu autorizzata nel 1422 da Alfonso V d’Aragona per la durata di 15 giorni. Nonostante i vari tentativi fatti nel corso dei primi decenni del Seicento, solo dopo il 1640, la Fiera Franca di Santa Venera fu trasferita nella piazza maggiore di Aquilia e la festa incominciò a essere celebrata nell’allora Chiesa Matrice. Il carmelitano frate Serafino di Aci, dopo aver fatto giungere in città una reliquia della Santa, fece realizzare a Palermo nel 1648, una statua di Venera in abiti carmelitani, che fu donata alla città l’anno successivo.
L’obbligo di custodire la statua e di celebrare la festa nella chiesa del Carmine spinse il Consiglio della Città, che rivendicava il controllo del culto della Santa, a far realizzare una nuova e più preziosa statua di santa Venera che nel 1651 fu eletta principale Patrona della città. L’opera venne realizzata dall’argentiere messinese Mario D’Angelo e nel 1654 si presentava già ultimata. La struttura lignea è rivestita da lamine d’argento sbalzato e cesellato mentre il volto e le mani, sono state realizzati dal pittore acese Giacinto Platania. Venera reca tra le mani i suoi simboli iconografici: la croce, il Vangelo e la palma tricoronata. Il busto reliquiario della Santa viene custodito in una cappella della Cattedrale a lei dedicata i cui lavori di costruzione ebbero inizio nel 1683 grazie alla donazione del romano Trojo lo Saglimbeni e della moglie Caterina D’Urso. Prezioso esempio di arte barocca, la cappella rappresenta una perfetta sintesi tra architettura, scultura, pittura e arti decorative. Nel 1712 il pittore messinese Antonio Filocamo realizza gli affreschi che abbelliscono la volta, con La gloria di Santa Venera, e le pareti laterali dove troviamo rappresentati la predicazione e il martirio della Santa. In continuità con gli affreschi di Antonio Filocamo si collocano quelli realizzati dal pittore acese Pietro Paolo Vasta che si trovano sulla volta del braccio destro del transetto. Angeli musici rendono omaggio a Venera che viene rappresentata nel momento della sua incoronazione in cielo. Le scene della gloria e del martirio di Venera ispirarono gli argentieri Alfio e Salvatore Strano che realizzarono, nella prima metà del secolo XIX, le formelle dell’altare della cappella, dove sono rappresentate a sinistra l’Immersione di santa Venera nella caldaia di pece bollente, al centro La gloria di santa Venera, a destra La decapitazione di santa Venera.
Il giorno della festa il busto reliquiario della Santa Patrona viene portato in processione su un fercolo argenteo realizzato da Mario D’Angelo nella seconda metà del secolo XVII.
La rappresentazione di Venera è presente anche sulla volta della navata centrale della Cattedrale, nel grande ciclo di affreschi realizzato da Giuseppe Sciuti nel 1905-1907 dove la Santa è ritratta insieme al coro delle Vergini. Sul portale barocco dell’ingresso principale, scolpito nel 1668 dallo scultore messinese Placido Blandamonte, ai lati del gruppo scultoreo dell’Annunciazione, insieme a Santa Tecla troviamo Santa Venera riconoscibile dalla palma cinta dalle tre corone.
Nella vicina basilica di San Sebastiano sulla volta del presbiterio, affrescato da Pietro Paolo Vasta, Venera insieme a Lucia, Agata, Rosalia, Barbara, tutte Sante Patrone di città siciliane, accoglie San Sebastiano in Paradiso.
La chiesa dell’Odigitria custodisce due tele, una di Giuseppe Rapisarda che ritrae Santa Venera sempre in abiti carmelitani e Santa Venera di Francesco Finocchiaro collocata in sacrestia.
Sono molte le chiese di Acireale che custodiscono opere legate al culto di Venera. Nella chiesa del Carmine è custodita una statua seicentesca. L’opera è stata rinvenuta il 27 gennaio 2004 durante i lavori di catalogazione diocesana. Bisognosa di urgenti restauri è stata sottoposta nel 2011 ad un primo intervento di consolidamento e risanamento ligneo dal restauratore acese Angelo Trovato.
La piccola chiesa di Gesù e Maria, situata in via Dafnica, è strettamente legata alla Santa Patrona di Acireale. Il 6 giugno 1651 questa chiesetta accolse la prima reliquia della Santa che il 14 novembre dello stesso anno fu traslata nella Chiesa matrice.
A Valverde, comune situato al confine con la Diocesi di Catania, nel santuario dedicato a Maria Santissima di Valverde, troviamo la tela della Sacra Famiglia con santa Venera di Pietro Paolo Vasta.
La chiesa di Santa Maria degli Angeli, la chiesa di Santa Caterina,  la chiesa di Santa Maria La Scala, la chiesa di Santa Tecla custodiscono secentesche tele di o attribuite a Giacinto Platania che ritraggono la Martire. A Pozzillo, nella chiesa di Santa Margherita è presente una tela di autore ignoto del XIX secolo, nella chiesa della Madonna dell’Indirizzo troviamo un’altra tela di G. Platania, mentre nel santuario di Maria Santissima di Loreto, affrescato da Pietro Paolo Vasta nel 1753, Venera insieme a Lucia, ad Agata e Caterina d’Alessandria, rende omaggio alla Vergine Maria.
Santa Venera in gloria con san Vito e sant’Antonio Abate di F. Finocchiaro è l’olio su tela che possiamo ammirare nella chiesa di Santa Maria Ammalati. 
A pochi chilometri da Acireale sorge Santa Venerina il cui nome è legato a Santa Venera. La nascita dell’attuale cittadina risale ai primi anni del XVIII secolo quando gruppi di abitanti di Jaci furono incaricati dal Senato della città a riscuotere il dazio che i viandanti dovevano pagare quando dovevano varcare il confine naturale rappresentato dal fiume Salaro che scorreva tra la contea di Mascali e quella di Jaci. Nel nuovo insediamento si continuò a praticare il culto di Santa Venera che ben presto determinò la necessità di costruire una chiesetta in suo onore. Con il passare degli anni la chiesetta venne ampliata, dotata di tre navate e al suo interno venne edificata una cappella che ancora oggi custodisce una statua della Santa.
Opere che ritraggono la Martire sono presenti anche in edifici civili, cuore dell’attività politica e culturale della città: lo scalone del palazzo di città di Acireale ospita la tela di Giuseppe Giuffrida Santa Venera nume tutelare della Città di Acireale; nella sede della Società del Mutuo Soccorso Agostino Pennisi troviamo una tela di V. Patania del 1688, nella Pinacoteca degli Zelanti e dei Dafnici un olio su tela attribuito a Giacinto Platania e, infine, nell’Archivio Storico Comunale di Acireale nel Liber privilegiorum civitatis Acis, una china su carta di Giovanni Ferrara del 1631 ritrae Venera con la palma tricoronata e la patena con gli occhi.
Il grande patrimonio storico-artistico relativo alla Santa patrona di Acireale, custodito all’interno degli edifici di culto, costituisce un variegato itinerario che proponiamo articolato in due aree territoriali, uno in direzione Sud e uno in direzione Nord.

 



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